L’adozione delle piattaforme software, sempre più evolute e sempre più presenti nel business aziendale, e la loro integrazione, indispensabile ma con strumenti che siano realmente efficaci,  sono gli elementi  chiave per una trasformazione digitale vincente. Determinante diventa quindi la scelta delle corrette strategie di integrazione per realizzare con successo il progetto aziendale di trasformazione digitale.

Una delle tendenze di cui più comunemente si sente parlare in ambito aziendale, ma non soltanto, riguarda la trasformazione digitale. Brevemente: è l’applicazione di funzionalità digitali a processi, prodotti, beni ed oggetti per migliorare l’efficienza, aumentare il valore percepito dal cliente, gestire più efficacemente i rischi e scoprire nuove opportunità economiche.

Cambiamenti resi possibili soprattutto dalla disponibilità di tecnologie innovative, in un contesto di evoluzione del mercato e delle esigenze dei consumatori.

Le ricerche di mercato indicano che almeno due terzi delle aziende globali – per intenderci, quelle classificate da FORBES come le Global 2000 – entro la fine dell’anno avranno adottato la trasformazione digitale all’interno dei propri piani strategici aziendali. D’altro canto le ricerche rivelano che fino al 66% dei progetti di trasformazione digitale non ha successo.

Perché è così alto il tasso di insuccesso? Come possono le aziende assicurarsi che i loro piani di trasformazione digitale abbiano esito positivo?

Quali fattori trattengono l’attuazione della trasformazione digitale?

Che le aziende ne siano consapevoli o meno, il problema sta nelle difficoltà di integrazione. Quando qualcosa di nuovo viene realizzato, al di fuori dello scopo principale per cui viene creato, si genera per definizione un problema d’integrazione. Alla luce di tutte le novità che riguardano i servizi del Public Cloud, si generano problemi di integrazione tra le nuove tecnologie e quelle esistenti, oppure tra infrastrutture appartenenti a Cloud differenti, che si rende necessario collegare tra loro per non restare con sistemi ad automazione frammentata.

Ciò crea il presupposto per l’adozione di strumenti di integrazione. Tuttavia, lo strumento di integrazione ed i processi che questo permette devono consentire un’attuazione più rapida della velocità con cui si vanno a realizzare i nuovi sistemi per il raggiungimento dei nuovi obiettivi. Se lo strumento di integrazione non è in grado di permettere interventi sufficientemente rapidi, si rischia di non restare al passo, facendo fallire il progetto.

La maggior parte degli insuccessi è causata dall’inadeguatezza delle piattaforme di integrazione a sostenere la rapida evoluzione dei processi aziendali digitali

Per parecchio tempo il settore tecnologico ha dato per scontato che sarebbero stati risolti i problemi di integrazione, muovendosi perciò verso progetti basati su SaaS, “consumerizzazione”, o big-data. C’era l’impressione che le tecnologie ed i prodotti di middleware fossero sufficientemente maturi e completi di funzionalità di integrazione. Ma l’impellente ed universale trasformazione digitale in atto, unita all’espansione delle applicazioni Cloud completate dalla larga disponibilità di API, ha cambiato completamente il paradigma.

L’innalzamento del livello di dinamismo richiesto ha esercitato notevoli tensioni su aziende e dipartimenti IT al loro interno per velocizzare i programmi di trasformazione in spiacevole rallentamento.

Due sono le principali difficoltà che ostacolano oggi le aziende: una ha a che fare con il divario di competenze, in particolare nelle capacità tecniche necessarie per le integrazioni correnti, l’altro è un digital divide culturale, che potremmo definire distacco tra IT e Business.

Il divario tecnologico

Gli strumenti di integrazione più classici, che sono stati progettati da almeno un decennio, sono inadeguati sia per gestire il livello di dinamismo richiesto che per sostenere il percorso digitale intrapreso dalle aziende, nonché i flussi tra i processi che oltrepassano le applicazioni e si estendono verso i sistemi di clienti e partner aziendali.

I sondaggi indicano che le aziende vedono negli attuali sistemi IT il terzo maggiore ostacolo alla trasformazione digitale.

  1. I dati aziendali sono maggiormente frammentati, come non lo sono mai stati

Mediamente oggi le grandi aziende utilizzano quasi 1.300 applicazioni. I dati aziendali sono frammentati attraverso centinaia di applicazioni impiegate nei dipartimenti IT e in gruppi di lavoro. Al meglio, tale frammentazione implica scarsa visibilità verso i clienti, una gestione delle loro informazioni, inesatte o inconsistenti, mantenute in collocazioni diverse tra loro e informazioni irrilevanti o incomplete sui clienti nelle mani di chi lavora in azienda. Al peggio, la dispersione incontrollata dei dati aumenta i rischi e mina la conformità aziendale a causa di mancanza di trasparenza e carenza di controllo sulle informazioni sensibili che riguardano i clienti.

In ogni caso, il tutto risulta in un ingaggio digitale controproducente con i clienti, che è l’antitesi della trasformazione digitale.

  1. Le integrazioni sono oggi maggiormente dinamiche e pervasive

Abitualmente le integrazioni avvenivano tra pochi sistemi applicativi dipartimentali, come i sistemi ERP, CRM, applicazioni marketing, di supporto ai clienti, HR e ITSM. Una volta implementate, non ci si aspettava di dover apportare sostanziali modifiche. Gli strumenti di integrazione venivano realizzati per un uso circoscritto da parte di specialisti dell’IT aziendale per adempiere alle necessità specifiche di integrazione tra determinati sistemi di gestione dei dati.

Le integrazioni oggi devono occuparsi anche di centinaia di sistemi di collaborazione, come Webex Teams, Slack, Email, Twilio, Zoom ed i social media; di sistemi di analisi, come Tableau, Redshift, Splunk; di sistemi di produttività, come JIRA, G Suite o Trello; inoltre con realizzazioni tra dipartimenti diversi.Lo scenario si presenta in modo significativamente differente rispetto alle situazioni che gli strumenti tradizionali possono gestire, poiché:

  • La portata delle integrazioni da realizzare è decisamente maggiore e cresce più rapidamente;
  • Le integrazioni devono essere implementate velocemente, in tempi di ore o massimo giorni, non settimane;
  • Le integrazioni devono poter variare frequentemente, seguendo le evoluzioni delle attività aziendali e i cambiamenti adottati in ambito applicativo;
  • Le integrazioni devono poter essere generate anche dagli attori delle attività aziendali, non soltanto dal personale IT, dato che è l’attività aziendale che pilota l’evoluzione applicativa;
  • Le integrazioni, nonostante la dinamicità delle situazioni, devono poter comunque essere governate, devono essere sicure e conformi alle regole aziendali. In caso contrario, incrementano il fenomeno del shadow IT.
  1. I percorsi e le esperienze digitali dei clienti richiedono più di semplici integrazioni

Una piattaforma intelligente di automazione deve poter realizzare molto più di semplici integrazioni tra i dati di alcune principali applicazioni dipartimentali. Deve essere in grado di:

  • Automatizzare il percorso digitale dei clienti per migliorare la CX (Customer Experience);
  • Produrre automazioni di processo più veloci, più ingegnose, applicando concetti di AI e ML (Artificial Intelligence e Machine Learning);
  • Potenziare le condizioni operative delle persone affinché possano migliorare il servizio verso i clienti, fornendo loro informazioni tempestive e rilevanti, assistendole nell’automazione dei loro flussi operativi individuali, attraverso i diversi sistemi applicativi.

Il digital divide culturale

Se la frammentazione dei dati e lo scarto tecnologico delle piattaforme digitali rappresentano ostacoli significativi per la trasformazione, forse la sfida più impegnativa da superare è il digital divide culturale, ovvero il distacco tra business e IT.

La trasformazione reale richiede che venga sfruttato l’intero potenziale di tutta l’organizzazione aziendale. Gli strumenti di classe Enterprise solitamente sono accessibili al solo personale IT e agli sviluppatori, mentre le iniziative digitali di business sono pilotate dagli attori stessi del business in ambito aziendale. Visto che spesso l’IT non riesce a mantenere il passo con le richieste di integrazione provenienti dal business, esplode il fenomeno del shadow IT.

I gruppi di persone che si occupano di business ed IT, utilizzando strumenti diversi e lavorando a velocità disallineate e spesso con mentalità diverse, o con scopi differenti, rappresentano il maggiore ostacolo per le aziende che hanno l’obiettivo di diventare espressione di business digitale.

Più che mai, le aziende necessitano di nuove e strategiche piattaforme di automazione che siano accessibili a tutti e che operino diversamente dal passato, che guidino il lavoro di squadra e la governance tra IT e business, facciano leva sulla collettività aziendale per un’esecuzione più veloce e più ingegnosa.

Altrettanto importante è l’autonomia da parte delle persone che gestiscono le attività aziendali di business di implementare le necessarie integrazioni.

In ultima analisi: come deve presentarsi una piattaforma intelligente di automazione?

Uno strumento di automazione intelligente, che abiliti la velocità, l’agilità, il dinamismo e che sia piacevole da utilizzare, deve basarsi su un’architettura digitale nativa ed operare oggi in maniera profondamente diversa dal passato. Deve presentarsi con una filosofia simile ad un “account Instagram”, dove tutto tranne lo scatto della fotografia avviene in automatico, piuttosto che come una fotocamera, dove tutto deve essere fatto letteralmente a mano.

Una piattaforma di integrazione moderna ed efficace, che sia basata su una architettura digitale nativa:

  • È altamente produttiva, in grado di restituire riscontro immediato e rapida gratificazione.
  • Fornisce istantanea messa in opera di workflow, senza richiedere processi tecnici laboriosi. Senza pensare all’attivazione di server, nodi, atomi o molecole!
  • Fornisce scalabilità automatica, senza costringere ad indovinare il dimensionamento per le operazioni di “provisioning” (e costi derivanti), con server sovradimensionati per garantire crescita, ma che restano inutilizzati per la gran parte del tempo.
  • È sempre operativa, appunto come Instagram, pronta all’uso. Resilienza ed alta affidabilità sono caratteristiche intrinseche, non opzioni da valutare e per cui si è costretti a pagare in aggiunta.
  • Fornisce il recupero automatico degli errori comuni, come disconnessioni di rete, scadenza d’autenticazione, o problemi di API (Application Programming Interface).
  • Istituisce governance di tipo sicuro, collaborativo, granulare. Non c’è vero potenziamento senza sicurezza e conformità agli standard aziendali. Sicurezza e potenziamento sono due facce della stessa medaglia.
  • È in grado di favorire il ciclo di vita del progetto di integrazione collaborativa, basato sui ruoli, attraverso le differenti organizzazioni ed i vari ruoli.
  • Identifica automaticamente gli schemi anomali nel trattamento dei dati, utilizzando tecniche di Machine Learning, e propone all’amministratore le azioni correttive.
  • Garantisce apertura nella componibilità degli elementi per l’abilitazione di flussi di lavoro aziendali dai più semplici ai più complessi.

Conclusioni

Esiste un’enorme opportunità di crescita per il business attraverso l’automazione intelligente dei processi aziendali. Quando le attività delle persone che operano nell’ambito delle varie linee di business vengono sostenute per lavorare in maniera più efficiente, con integrazioni che siano al contempo sicure, governate e facili da implementare, il guadagno in produttività determina un significativo ritorno dell’investimento.

L’automazione intelligente diventa quindi un presupposto essenziale per il successo della trasformazione digitale. Ma la scelta di una soluzione di integrazione può apparire scoraggiante, specialmente alle persone meno tecnicamente preparate. Come si può determinare quindi se la piattaforma di integrazione sia intelligente oppure no?

Nella scelta della piattaforma giusta, è utile porsi le seguenti domande:

  • Può interconnettere tutte le applicazioni di tipo cloud, ground, i database, i processi e le API?
  • È classificabile come soluzione di livello enterprise? Sono centralmente governabili dall’IT le integrazioni realizzabili?
  • Sono possibili realizzazioni di integrazioni avanzate con l’ausilio di soluzioni di AI come IBM Watson e Salesforce Einstein?
  • Fornisce supporto per operazioni automatiche di ripristino per la correzione d’errore, con roll-back senza perdita di informazioni né duplicazioni?
  • Consente alle persone che seguono il business aziendale di creare integrazioni per soddisfare le loro esigenze in rapida evoluzione?

Prima di investire nei processi di trasformazione digitale, le aziende devono domandarsi se la loro soluzione di integrazione soddisfa i requisiti di business in un contesto digitale fortemente dinamico.  Se la risposta è negativa, non stanno adottando una piattaforma di integrazione intelligente e quindi adeguata. Senza automazione intelligente, il progetto di trasformazione digitale è probabilmente destinato a fallire.

Sergio Ribba, CTO di NovaNext e Giuliano Iacobelli, Co-Founder di Stamplay