Migrazione, cloud, sistemi legacy. Ci sono tante parole che un’azienda può incontrare quando progetta di modificare la propria infrastruttura informatica. Esclusi i professionisti dell’IT, in pochi sanno attribuire loro un significato o quantificare l’influenza che, se applicati correttamente, i concetti espressi da quelle parole possono esercitare sulle prestazioni di un’organizzazione. Proviamo a fare un po’ d’ordine.
Che cos’è un sistema legacy?
Il punto di partenza è il termine legacy: nel gergo IT si fa riferimento a un software o hardware informatico che è ancora in uso nonostante abbia raggiunto il termine del suo ciclo di vita e sia diventato, di fatto, obsoleto. Sebbene questi sistemi possano ancora soddisfare i requisiti per i quali erano stati originariamente progettati, sono in genere basati su tecnologie ormai in disuso o, comunque, non più adatte a supportare il business aziendale, per esempio nella sua espansione su scala internazionale, situazione comune nel panorama italiano. In questi casi occorre prendere in considerazione una migrazione dei sistemi legacy, che prevede il passaggio (completo o parziale) dei vecchi sistemi IT verso una nuova infrastruttura hardware o piattaforma software che supporti adeguatamente l’azienda nella sua attività quotidiana di business. Da un punto di vista tecnologico, ormai quasi sempre, la migrazione presuppone il passaggio a servizi basati su cloud, cioè accessibili tramite la rete Internet e forniti da un provider esterno. Evitando così alle imprese di impegnarsi direttamente nell’acquisto e gestione dell’IT e liberando risorse e investimenti per il core business.
Perché valutare la migrazione dei sistemi
Ovviamente, non esiste un’unica possibilità di svolgere una migrazione dei sistemi IT. Volendo semplificare al massimo, esistono due principali approcci: il primo, detto lift-and-shift, prevede di migrare applicazioni e i dati associati a una piattaforma cloud in modalità “as is”, cioè senza riprogettare i carichi di lavoro. Questo tipo di migrazione IT legacy viene generalmente avviata dal reparto IT di un’azienda per fornire una “spinta esogena” a un sistema ancora funzionante che però ha bisogno di un supporto tecnologico (ad esempio di tipo infrastrutturale) migliore di quello a disposizione. Una seconda possibilità è la migrazione di tipo trasformativo, che punta a modificare il workload dall’interno tramite una vera e propria revisione progettuale, che a volte può coinvolgere anche i processi per i quali ogni carico di lavoro è stato disegnato.
Come si esegue una migrazione corretta
In entrambi i casi, la migrazione non può essere improvvisata. Al contrario, deve essere correttamente pianificata, prestando estrema attenzione alle specificità (tecnologiche e non di ciascuna azienda). “Migrazione”, inoltre, non indica necessariamente lo spostamento da un punto “A” verso un punto “B” in un unico, preciso momento, ovvero con un grande “switch off” finale. Al contrario, questo approccio rischierebbe di essere estremamente lungo e dispendioso, poiché si dovrebbero spendere anni per sviluppare sistemi completamente nuovi (che nel frattempo potrebbero anche diventare sorpassati) capaci di migrare dati complessi ed eterogenei. Questo metodo, tra l’altro, rischia di dilatare le tempistiche ed i costi, tanto che ormai non è più considerato la via ottimale per procedere a una ottimale migrazione IT. Piuttosto, la chiave per una trasformazione di successo dei sistemi legacy è sostituire lentamente, pezzo per pezzo, i sistemi esistenti con soluzioni più recenti, che siano in grado di assicurare un reale vantaggio competitivo.
Qual è l’approccio alla trasformazione? Ecco i passi da seguire in questa breve checklist:
1. Identificazione dei dati e delle loro caratteristiche
Innanzitutto, è necessario comprendere quali dati saranno migrati, il formato in cui si trovano attualmente e quello che dovrà essere raggiunto dopo la migrazione. Se la migrazione riguarda dati sensibili, è necessario anche assicurarsi che siano seguite tutte le misure di sicurezza. La posizione del dato (ovvero quanto esso deve essere prossimo al punto in cui sarà utilizzato), è anch’essa molto importante per evitare costose latenze a livello dei processi: la creazione di valore per le organizzazioni passa infatti sempre dalla possibilità di interrogare questi dati con velocità e rapidità.
2. Determinare i requisiti tecnici, temporali e finanziari
Raccomandiamo sempre di essere realistici con le stime. Un processo complesso come la migrazione richiede una segmentazione opportuna per comprendere ogni aspetto che riguardi la configurazione attuale, nonché garantire che sia stato previsto il giusto tempo per eseguire test di integrazione, regressione ed usabilità. Inoltre, un aspetto chiave è quello di facilitare e promuovere gli aspetti di comunicazione e interazione tra i vari team aziendali che, ognuno per le proprie competenze, dovranno contribuire alla realizzazione dell’intero processo di migrazione.
3. Redigere un piano di migrazione
L’output delle fasi di assesment dovrà confluire in un piano di migrazione organizzato e strutturato, che comprenda sia una sezione di valutazione del rischio e degli approcci per mitigarlo, sia i fattori di successo di ogni step. Attenersi al piano è cruciale per garantire la capacità di valutare, passo dopo passo, il raggiungimento degli obiettivi intermedi.
4. Testare il sistema dopo ogni fase della migrazione
La migrazione del tuo sistema funziona soltanto se i singoli passaggi che contribuiscono al risultato finale non hanno problemi. Testare i tempi di inattività minimi, l’integrità dei dati, assicurarsi che nessun dato venga perso e verificare che le applicazioni siano completamente funzionali dopo la migrazione è fondamentale per la buona riuscita di tutto il processo.